8. Documentazione e bibliografia

Rassegna di articoli su Sha one, forniti dall'artista alla redazione di Lascia il segno. Vengono fornite le scansioni delle immagini o la trascrizione integrale dei testi. In alcuni casi, non siamo stati in grado di risalire alla fonte per poter citare i dati bibliografici con esattezza.


Salerno Graffiti, di Nico Piro, 25 aprile 1993 (testata ignota)

A Salerno sulle scalinate di Via Velia, che congiungono il centro della città con il suo cuore antico, un luogo insolito, dalle prospettive escheriane, si ritrovano oltre venti tra i più importanti “writers” della penisola., chiamati a raccolta dall'ArciNova di Salerno per la manifestazione “Graffiti. Colori e Culture Metropolitane”. In poco meno di una giornata (dalle 9 al tramonto, come recita il manifesto dell'iniziativa) oltre 250 metri quadrati di superficie murale vengono ricoperti da opere policrome; un catalogo “vivente” degli stili dell'aereosol art, del livello creativo e tecnico che i graffitisti italiani hanno raggiunto, delle differenti possibilità espressive che l'arte dello spray consente di utilizzare. Si parte dal lettering, la tipica scomposizione di parole e caratteri alla ricerca della destrutturazione e del superamento della scrittura automatica (la macchina da scrivere, le stampanti...) che occupa la nostra quotidianità per riappropriarsi della scrittura creativa, della calligrafia. Si passa poi, in testa alla scalinata, in una sorta di cammino fisico e figurato nello “stato della arte” del graffito in Italia, a soggetti più figurativi: i tipici puppets, personaggi che si animano ed animano l'immaginario metropolitano.
Un luogo ordinario in poche ore si trasforma in una porta pulsante verso un’interzona creativa e colorata. La manifestazione diventa anche happening . Nel corso della giornata passano oltre 5000 persone su quella scalinata; giovani e non, appassionati d'arte e curiosi. Si diffondono fanzine e prodotti dei circuiti underground italiani. Gli abitanti del quartiere, contro ogni previsione ed ogni limite d'età, partecipano alla festa, incuriositi e forse contenti di quell’insolita ristrutturazione della scalinata.
L'iniziativa di ArciNova ha anche un valore “politico”. Per la prima volta in Italia e per giunta in una città di provincia, ai margini dei grandi circuiti culturali, i Graffiti guadagnano, seppur per una sola giornata, il diritto di cittadinanza. Un’amministrazione pubblica (il Comune) concede un proprio spazio ai “writers”, solitamente sottoposti ad una dura repressione e sempre alle prese con la legge e la polizia che confonde l’arte con il “deturpamento ed imbrattamento di cose altrui” ( Art 639, codice penale). Viene così sancito un principio e tracciato un (faticosissimo...) percorso burocratico fatto di autorizzazioni incrociate e pareri di vario genere (dalla Soprintendenza Baas all'Ufficio Tecnico Municipale), che vale come “precedente” per future manifestazioni di questo genere. L’iniziativa, realizzata in forte economia e curata per il comitato territoriale di Salerno da Edy e Nico Piro, ha visto la collaborazione dell'Assessorato alle Politiche Giovanili della Provincia di Salerno e della “Dupli Color- vernici spray ecologiche”.


Mai brindare prima! di Polo, da: Storie di bombing, "AL", 1993

NAPOLI... aaahhh !!! Che bella città: o' sole, a’ pizza e a' KTM! Quante storie di bombing emozionanti, divertenti, a momenti drammatiche hanno visto come scenario questa splendida città. Una metropoli sempre pronta ad inglobare i nuovi influssi provenienti da qualsiasi parte del mondo, ma che mantiene intatto il fascino delle tradizioni. Dicono che l'arte del napoletano è quella di arrangiarsi, e noi qui a Napoli, artisticamente parlando, ci siamo sempre dovuti arrangiare. E forse proprio da questa situazione di precarietà, rusticità, sono nate bellissime storie ai limiti dell'incredibile. Potrei raccontare di quella volta che Nes-t, Sha, io ed altri eravamo all'interno della funicolare e facemmo un T2B ripresi da VideoMusic e fotografati dalla "Repubblica", e quella volta che con DIS, MACE, CHIEF, SHAD, RUSTY, TAWA, GUZ, SHA, ZEMI, CRAZER, (11 di noi) dipingemmo "comodamente" la banchina della stazione della metro di Montesanto fin quando fummo GENTILMENTE pregati di allontanarci... MA... tra tanti successi, ci terrei a raccontare di una di quelle poche volte che abbiamo dovuto lasciare un lavoro incompiuto.
Quella sera eravamo ZEMI che per brevità chiamerò Marci, Shangai ed il sottoscritto, pikidiPolo (KTM). Uscii di casa con un cartone con circa 60 bombole quasi finite, deciso di scaricarle tutte per levarmi davanti quei fondi. Passai a prendere Marci, ed insieme andammo a fare visita al chiosco di un acquafrescaio e ci riempimmo uno zaino di bibite fresche (birre, coche, chinotti, gatorade, etc.) "senza cacciare una lira" (GIIIA!). Ci sentivamo dei veri gangsta, ma in realtà eravamo dei poveri mariuoli. Arrivati all'appuntamento con Shangai ci dirigemmo alla fermata di Corso Vittorio Emanuele della funicolare, ed in un battibaleno, da bravi ninja entrammo. "S" si era portato lo skizzo di uno di quei soliti wildstyle da infarto, ma poi optò per uno semplice (da collasso!). Marci ed io invece decidemmo di improvvisare qualcosa giusto per dare un bel po’ di colore a quel paretone bianco. Dopo aver brindato (mai d'anticipo, porta male !) incominciammo a dipingere con molta calma. La notte era limpida, ed il muro era ben illuminato anche dalle luci dei palazzoni che affacciavano sulla stazione, che potetti fare delle riprese con la telecamera. Quello di dipingere era stato un pretesto per uscire, ma l'unica cosa che eravamo seriamente intenzionati a fare era ridere e divertirsi (calati ben bene !). Avemmo una breve discussione con un passante, un testimone di Geova o giù di lì che ci domandò se ci eravamo chiesti se Gesù Cristo approvava o no quello che stavamo facendo (??!!). Ma subito dopo riprendemmo tranquillamente fin quando...
PREMESSA: SHA quando dipinge è talmente preso e assorto in quello che sta facendo che puoi anche tirargli randellate sulla schiena, ma lui non sente niente, figurarsi quello che accade intorno. Beh! lui stava incominciando a riprendere l'outline nella zona prossima al cancello di uscita (che però era chiuso con un catenaccio), inciampando spesso nelle centinaia di bombolette sparse x terra, lo e l'altro stavamo un po’ distanti rubando le bombole ognuno nello zaino dell'altro !
Quando all'improvviso notammo una luce rossa al di fuori del cancello, ci guardammo in faccia insospettiti;
scorgemmo il fanalino posteriore e in seguito la carrozzeria di una Tipo blu con una fascio bianca al centro, ci riguardammo in faccia terrorizzati... PULA!!!
Via subito, solite scene di panico... raccogli tutto quello che puoi da terra, zaino, telecamera, etc... eravamo già sul punto di scappare ed il primo sbirro al cancello, cannone in pugno, quando scorgiamo "S" che ignaro di tutto continua a dipingere. Raccogliamo quindi anche lui e ci lanciamo in discesa lungo i binali a velocità luce fino alla stazione terminale di chiusa (strano!) In quel momento ci sentimmo come topi in gabbia tanto che mi affrettai a sbarazzarmi di una bombola anti-aggressione presa a Parigi (ma che in Italia è illegale) lanciandola al di là di un muro, Cercammo disperatamente un'uscita e solo quando ci accorgemmo che la Polizia ci stava raggiungendo, decidemmo di seguire la bombola che avevo buttato e di saltare quel muro. Ma dovevamo compiere un salto di 4 metri, e giuro non sono pochi ! Sempre meglio della galera e TONK ! giù a mo’ di stunt-man sul tetto di un'auto parcheggiata lì sotto (tettuccio sfondato logicamente). Recuperammo anche la bombola alla quale però si era spezzato il tappino provocando una perdita di liquido. Ci avviammo per la strada con il cuore che batteva a 160 B.P.M. tipo hardcore techno (bleach !). La storia può sembrare finita ma la sfiga non conosce limiti. "S" ed io ci passammo le mani sporche di quel liquido in faccia per asciugarci il sudore, ed incominciammo a bruciare, lacrimare, impazzire dal dolore tanto che dovemmo ricorrere alle cure del Pronto Soccorso dell'ospedale vicino (anche da li scappammo per non essere registrati). In quella triste notte, i nostri valorosi combattenti persero sul campo di battaglia: uno zaino con ancora molte birre, un book da disegni di "S" ed all'inarca 100 bombole. Bastardo chi se l'è portate a casa !
Comunque... chissà a quanti di voi sono successe cose simili... beh!, io ho raccontato la mia !




Feste, fumetti musica. E un murales giagnte. Graffitisti riuniti "Coloriamo la città", di Nino Marchesano, "La Repubblica", 21 febbraio 1997

Il variopinto mondo dell’hip-hop a Napoli. In una convention che si terrà oggi dalle 13 alle 21 al Funcube di Agnano, un capannone in via Scarfoglio trasformato da qualche anno in Skatepark. E per una volta Napoli sarà veramente come NewYork, dove alla fine degli anni Settanta è nata la cultura dell’hip-hop.
Un’iniziativa organizzata dall’etichetta Homebase, di cui sono titolari Polo e Sha-One, primi graffitisti partenopei, finiti in cronaca qualche anno fa per aver “imbrattato” i vagoni della metropolitana e introdotto in città la spray-art. “Quando dipingi sui mezzi di locomozione, il tuo messaggio viaggia”, spiega Polo, che sta per pubblicare un album, 41° parallelo, lo stesso che attraversa Napoli e New York. “Forse non tutti sanno che l’hip-hop è fratellanza, pace, solidarietà”, continua il giovane artista. “Quando è nato, nei quartieri di New York imperversavano le lotte fra le varie gang. Poi arrivò Afrika Bambataa, che fondò la Zulù Nation, sostenendo l’idea di simulare la sfida fra le bande attraverso il ballo e il rap”. E’ il principio di education trough entertainment vale ancora oggi. “Mentre ballo ti diverto, ti educo e ti dico che non è bello stare all’angolo della strada a fare lo spacciatore, perché finisci in galera, meglio studiare, meglio stare in famiglia”.
Una sfida e una concezione simbolicamente rappresentate da due zone di confine, Los Angeles e la East Coast. Da un lato il radicalismo dei neri americani con il gangsta rap, dall'altro la visione solare e pacifista dell'hip-hop. “Anche nell’abbigliamento si va alla ricerca di immagini positive, cercando di somigliare quanto più è possibile ai cartoni animati. All’inizio alcuni breakers indossavano dei guantini bianchi alla Topolino, altri montature di occhiali enormi, con la fascia elastica, scarponi grandi da sciatori, proprio per somigliare ai personaggi dei fumetti”.
E domani la folta pattuglia di writers e graffitisti, ballerini di break dance ed esperti di scratching, Dj e speaker italiani e stranieri, si confronteranno nello Skatepark di Agnano. Sulle pareti esterne sedici writers provenienti da tutta Italia dipingeranno oltre 200 metri quadri di muro, mentre all’interno i Passo sul tempo, professionisti della break dance italiana, Dj Simmy, fra i migliori Dj napoletani, Kay Bianco e il gruppo La famiglia, realizzeranno il primo autentico happening cittadino dell’ hip-hop. Alle 22 i seguaci della nuova tendenza a metà strada tra le Posse, Jovanotti e gli Articolo 31, sono invitati a spostarsi al Mary Quant di Pozzuoli (ex Havana Club), dove tra gli altri, si esibiranno gli Invisible Scratch Pickels, Dj campioni del mondo dal 91 al '95.


Il rodeo hip hop a Napoli. Un allegro fantastico raduno, di Gigi Avorio, "Roma", 23 febbraio 1997

NAPOLI. I meridiani sono differenti, ma il parallelo che attraversa Napoli e New York è lo stesso, il 41°, un vanto per tutti i ragazzi partenopei che adducendo questa motivazione geografica, si ritengono, a giusta ragione, abitanti della città più Hip hop d'Italia. Si è tenuta a Napoli la prima convention internazionale di questo movimento, semplicemente intitolata, “The hip hop rodeo”, un raduno a cui hanno partecipato centinaia di ragazzi provenienti da ogni parte d’Italia, ritrovatisi al Fun Kube di via Scarfoglio, un’ex officina diventata ora un’attrezzatissima pista di pattinaggio. Per l’occasione sono arrivate anche le telecamere di Raidue che in più riprese si sono collegate con la trasmissione “Cronache in diretta”. C'è da dire innanzitutto che i murales si distinguono in tre diverse categorie: i flop, che sono delle mega scritte usate per marcare un territorio, le bubble, che invece hanno una linea più morbida che consente di leggere la frase, e i wild style, che sono dei disegni intricati e astratti basati solo su un effetto cromatico. Tutti gli artisti hanno uno pseudonimo ma la cosa più interessante sono i “black book” una sorta di album fotografico in cui i writer conservano le immagini di tutte le loro opere. Mentre gli sbombolatori creavano i propri disegni, all’interno del Fun Kube si sono esibiti i “Passo sul tempo”, una coppia di ballerini professionisti di breakdance. In particolare hanno entusiasmato Glenda e Sasà CDJ. La sera poi la scena si è spostata al Mary Quant dove ci sono state le esibizioni musicali più interessanti: Kay Bianco che accompagnata da Polo e Sha-One del gruppo La Famiglia ha dato qualche anticipazione del nuovo lavoro che stanno preparando insieme. E ancora Chief e Soci, DJ Gruff e DJ Double, già collaboratori di Neffa, e poi DJ Q-Bert, DJ Apollo, DJ Mix Master Mike e DJ Shortkut che per cinque anni consecutivi hanno vinto la finale mondiale del DMC.



Hip Hop Nation!, di Ciro Cacciola, "Trend Discotec", maggio 1997

Tutto cominciò "rappando" del più e del meno. Ora è una cultura di vita che unisce trasversalmente il mondo. Ecco cosa significa oggi pensare, parlare, vivere, muoversi hip hop.


Sha one al microfono [Shaone_AlMicrofono.jpg]Domenico vive a Roma Scrive e disegna sui muri, sui treni, sui vagoni della metropolitana. E’ un writer, mica un terrorista, e per “bombardare” (col colore, con che altro sennò) rimedia quello che c’è da fare, lavoretti qua e là, perché, si sa, le bombolette (spray) costano. Dice che ha lasciato il segno anche in un lontano villaggio giù in Calabria, vicino Lamezia Terme, a Nocera Tirinese. E che la sua firma vola alta pure in cielo, dipinta sul pallone di una mongolfiera atterrata per caso vicino casa. A Roma è uno dei tanti. Proprio tanti. Un gruppo super. Una grande famiglia: il giovedì all’Harlem, il venerdì all’Orpheus, al Tatum il sabato, per intenderci. Oppure una sera al Palladium, al concerto di MC Lyte. Capito niente? Domenico è un pezzetto di hip hop fatto uomo, un frammento di colore incarnato a Roma, un figlio di Zulu cittadino di questo pianeta. Il passaporto è italiano, ma il background è rigorosamente Zulu Nation perché hip hop è movimento, è comunicazione, è pensiero, è modo di vita, è tutto. Tranne che una moda. O almeno così dovrebbe essere. Un mesetto fa, giorno più, giorno meno, Domenico e qualche altro centinaio di hiphoppers si sono dati appuntamento a Napoli per seguire quello che per l’Italia è stato un piccolo evento, JAMME, una convention internazionale di hip hop che ha richiamato gente da tutto il paese, le telecamere di Raidue, noi di Trend Discotec e persino i campioni (ex ex ex) mondiali di skretch, gli Invisible Scratch Pickels, volo diretto da San Francisco, via DMC. Perché l’hip hop ormai è un mondo a parte, un piccolo mondo moderno, tanto per fare opposit a quello antico e letterario di Fogazzaro. Entrarci è come fare un viaggio in rete.
“L’hip hop è come Internet”, ha detto Michael Franti un giorno a uno che più o meno lo intervistava. E forse l'uomo degli Spearhead ha ragione. L’hip hop è come un grande sito, fatto di musica, suoni, colori, sensazioni. Ma soprattutto ormai è storia, e come tutte le storie affonda le sue radici in fatti che stanno alla base di una nuova cultura globale. Evitando le solite leggende, si può tentane almeno un riassunto delle puntate precedenti. E partire da più lontano, dagli ultimi poeti americani, i Last Poets, quelli che recitavano versi (rime) pieni di significato accompagnandosi a basi musicali che oggi un bravo speaker da FM nazionale si affretterebbe a definire vibes, un po’ come fa il caro Jovanotti nell’ultimo album, fatto fuori il singolo Bella; roba post ’68, primi anni Settanta. Prima che di hip hop si comincia perciò a parlare di rap, quella strana cosa che cominciavano a fare i dj americani per movimentare un po’ le serate con l’ausilio del microfono (nel futuro presente, gli MC) e che diventa subito prerogativa della comunità afroamericana, di quelle cose che solo uno attento e bravo come James Baldwin, lo scrittore, potrebbe forse riuscire a spiegare sociologicamente. Oltre i ghetti di Los Angeles e New York, ci si accorge nel mondo di loro con l’uscita di Rapper’s Delight mitici Sugarhill Gang, un pezzo che ancora oggi ti riempie la pista e dove i tre simpatici MC’s rappano del più e del meno (ma in generale di donne, sesso e cose divertenti: chi non ha recitato almeno una volta nella vita la rima storica hotel-motel-holiday inn?) sul riff basso/chitarra dei geniali (e Chic) Nile Rodgers e Bernard Edwards “campionato” - il termine è recente, non risale all'epoca del singolo - da Good Times.
Erano anni di febbri (altissime per le disco del Sabato sera) ma anche di guerre, di bande, di ghetti. Ragazzi afroamericani che si uccidevano di botte (nel migliore dei casi) tra loro, bande che si tiravano storie per il controllo di questo o di quel territorio. La comunità nera era spaccata in due, quattro, otto, ottomila gang rivali. E la tensione cresceva, cresceva. Afrika Bambaataa trova così il suo posto nella storia Perché è lui l’uomo, l’artista, il rapper che ha segnalato a quei ragazzi il nuovo fronte bellico, la nuova sfida, l’alternativa di guerra (e di pace): una guerra da combattere non più con le armi ma a colpi di rime e di parole. “Sfidatevi col rap”, diceva Afrika, “sfidatevi a parole”. Da queste sfide reali nasce l’altra faccia dell’hip hop, il gangsta rap, quello che parla di armi e di facili ricchezze; quello che mortifica e violenta le dome (tutte puttane, secondo il gergo); quello che, fortunatamente gran parte della comunità afroamericana rifiuta di riconoscere o di acquistare e che - come anche i ragazzi italiani del rodeo hip hop napoletano tengono a precisare - non fa parte della vera filosofia hip hop.

PENSARE HIP HOP. Mica facile. Bisogna studiare, dice Sha-One, nel senso di documentarsi, informarsi, andare alla ricerca delle radici del movimento, capire che soprattutto è un fatto, un atto di cultura, prima che una moda anzi, meno che mai una moda Sha-One ha trent’anni,vive a Napoli, ed è al cinquanta-per-cento l’anima del duo La Famiglia. Rima e dipinge, un artista. E nella sua crew, nel gruppo, gode di massimo rispetto. I più giovani (dai l6 anni in su) guardano a lui come a un vero esempio. Apprezzano di lui l’animo gentile, la bellezza dello stile, l’umiltà. Sha - che sta per Shanghai - è stato pioniere nella sua città. Col suo gruppo andava fuori scuola a fare break dance. C’è chi se lo ricorda ancora. Polo, per esempio, l’altro cinquanta-per-cento della Famiglia, poeta e disegnatore intraprendente, grande spirito creativo, organizzatore principe della convention in questione. “Pensare hip hop significa anzitutto pensare positivo”, dice. Il rispetto, la pace, l’unità sono i valori fondamentali. L’amore, il senso di aggregazione, la voglia (e la necessità) di una reale comunicazione. La strada diventa così unico luogo possibile di incontro e di creazione, palcoscenico pubblico e privato, il posto migliore per ricevere e dare energia “La TV non mi appartiene” continua Polo che, come tutti i b-boys, preferisce lo spettacolo della strada a quello del piccolo schermo alienante. La cultura hip hop vive però una tragica spaccatura, una paradossale dicotomia che sfugge talora agli europei e soprattutto a quella fascia di pubblico che si lascia catturare da campionamenti e facili melodie senza prestare attenzione alle rime. In America esistono ormai da tempo due scuole di vita e di pensiero hip hop: quella positiva e piena di preoccupazioni sociali e ambientaliste che arriva in genere da New York, e quella gangsta, dura (nelle parole) e violenta, senza etica né valori, che viene dai ghetti di Los Angeles e che ogni tanto passa alla cronaca per morti e uccisioni (non ultima quella di 2Pac Shaku sulla quale non è ancora stata fatta luce e che avrebbe “redento” una serie di gangsta rapper tra cui Snoop Doggy Dogg). East Coast versus West Coast. A New York il pensiero è: anche se ti trovi in difficoltà o in miseria, devi uscirne studiando, facendo cose buone, migliorando te stesso, e soprattutto stando lontano dalle armi e dalla droga A Los Angeles invece il concetto dominante è: se sei povero e hai problemi, l’unica via d’uscita sono i soldi, devi fare i soldi, a qualunque costo, comprati una pistola e vai in giro a far soldi, perché con i soldi puoi fare quello che vuoi, trattare le donne come puttane e così sia. Non a caso il gangsta rap, fatta eccezione per qualche rapper d’alta classifica è quasi bandito dalle FM americane e fuori dai grandi circuiti del mercato r’n’b statunitense. In Italia l’hip hop come fenomeno di massa è ancora giovane, sotto tutti i punti di vista, perciò le rime degli mc’s italiani parlano fondamentalmente delle varie realtà giovanili, della vita e dei piccoli problemi di ogni giorno, come le canzoni (e il successo) degli Articolo 31 dimostrano efficacemente. “Dobbiamo essere realisti e capire che siamo ragazzi italiani -dice Polo -che la nostra realtà è diversa da quella dei b-boys americani e per fortuna non abbiamo bisogno di andare in giro a fare la parte dei gangsta rapper”. Il riferimento anche esplicito è forse a “bande” tipo quella dei sardi SR Raza che nei pezzi del loro album Wessisla parlano di ragazze come delle loro “bicce” (da bitch, puttana), di pistole, di preservativi e di relativi attributi. Red Man, un maestro della Grande Mela, insegna invece che non c’è bisogno di essere volgari o sboccati a tutti i costi, che si può ridicolizzare o “fare la guerra” a qualcuno anche senza strafare. La sfida Los Angeles/NewYork comincia a farsi sentire anche in Italia, come tra due scuole di microfono e di pensiero. Cose che per il momento succedono solo oltreoceano tra gente “calibro” tipo Dogg Pound e Mobb Deep.

PARLARE HIP HOP. Ogni cultura genera il suo linguaggio, che può essere secondo i casi tecnico o di costume. Il gergo hip hop è fatto soprattutto di vocaboli d’importazione, talora italianizzati, tradotti o adottati come neologismi impuri non ancora approvati dallo Zingarelli. Un esercizio in fondo anche divertente. Così la grande famiglia planetaria del movimento è la Zulu Nation fondata da Bambaataa, mentre il gruppo minore con il quale di solito si va in giro si definisce crew. Un ragazzo hip hop si dice b-boy (la prima “b”, secondo alcuni, sta per black, a certificare il colore della pelle dei fondatori ab origine, secondo altri sta invece per breaker perché all’inizio tutti facevano break dance), la sua ragazza è una fly, abbreviazione di butterfly, farfalla. Bombing, o bombardare, sta per dipingere con le bombolette spray da qualche parte; writers sono i disegnatori. Quando ci si incontra ecco che nasce una jam: e “taggare” (da tag, firma) sta per firmare, lasciare il segno nel mondo con la propria firma, che poi in genere è un nick name, cioè un soprannome che ciascuno si sceglie per entrare nella Zulu Nation. Tutto questo gira di bocca in bocca senza generare però fanatismi gergali, piuttosto attraverso una costante ricerca linguistica spesso contaminata dagli stessi idiomi dialettali per cui accade, ad esempio, che a Milano la crew possa diventane la “Ballotta” (come canta Neffa, per esempio) e a Napoli “a Paranza”. Proprio così.
DISEGNARE HIP HOP
Disegnane graffiti (fare un pezzo, secondo il gergo corrente) anzitutto costa. Il prezzo delle bombolette è alto, e per fare un buon lavoro ne occorrono un bel po’. Fortunatamente la carriera di un writer passa attraverso una serie di step che via via passano da una fase più semplice ad una scrittura sempre più elaborata. Si comincia proprio con l’elaborazione e lo sviluppo della propria tag (o firma) e con i primi bombardamenti. Spesso, per mancanza di tempo o di colore, il writer alle prime armi realizza un throw up, ovvero una scritta veloce, massimo due colori, tanto per cominciare a lasciare il segno. Più avanti le principali alternative stilistiche restano due: il bubble style, che riproduce la firma con caratteri tondeggianti e gonfi, un po’ gommosi, e il wild style, per i più bravi, dove ciascuno segue il proprio stile - lo stile libero che ti porti nel cuore, dice Polo -, intrecciando i caratteri e dando vita a nuovi tipi di lettering. Superata la fase “tag”, gli artisti possono naturalmente eseguire anche veri e propri disegni, figure fantastiche solitamente sempre abbinate a una scritta spesso ricalcando un bozzetto originale. E’ chiaro infatti che il writer si esercita anche sulla carta, non avendo sempre una parete e delle bombolette a disposizione. Ma, tengono a precisare un po’ tutti, nessun writer ha mai bombardato monumenti o altre strutture di rilevanza storico/artistica: i vandali stanno fuori dall’hip hop. “Anche se - come confessa qualcuno - per reagire all’applicazione dei solventi che ci distruggono in pochi minuti tutto il lavoro, alcuni stanno taggando con le punte di diamante le vetrine dei negozi (in particolare a Milano)”.

VIVERE HIP HOP. Per Zemi, napoletano, 21 anni, tra le “firme” più note nell’ambito delle crew partenopee, dipingere è fondamentalmente un fatto artistico: “Ho fatto anche l’Istituto d’Arte – dice - ma poi me ne sono andato”. Bobba invece è una simpatica fly di 16 anni. Si chiama così perché da piccola sua madre l’addormentava, invece che con le ninnananne, con le canzoni di Bob Marley. Le piace da sempre un certo tipo di musica e di gestualità, muovere le bracca e le mani in un certo modo, vestire comodo, e così si è ritrovata nel gruppo. Ena, sua amica, ha 16 ami anche lei. Dice che a Napoli i b-boys si vedono soprattutto per strada, in piazza del Gesù o in piazza Vanvitelli, perché di serate in giro ce n’è poche, e non ci sono locali né one night dedicate stabilmente all’hip hop. “L’hip hop è una cosa che hai dentro, non la puoi troppo spiegare”, dice Stylo, da Ancona; “è l’unica musica che mi rilassa”, aggiunge, e cita Articolo 31 e Colle der Fomento tra i gruppi italiani del cuore. Il Rodeo ormai è davvero cominciato. A pochi metri di distanza dalla, base americana della NASA, sul piazzate del Fun Cube, uno skate park in piena campagna ad Agnano, una dozzina di writers stanno bombardando i duecento metri quadri di muro messi a disposizione dall’organizzazione. C’è una piccola ma significativa rappresentanza da Milano. Non vogliono che si pubblichi il loro nome, sono troppo delusi da quello che hanno riportato di loro su altra stampa. Ma parlano uguale e raccontano, in prima persona, la loro maniera di vivere hip hop: “Io faccio aerosol art -dice il tipo alto con barba e occhiali e immancabile cappellino alla Jovanotti- perché ognuno fa quello che deve fare nel gruppo. Frequento come tutti a Milano il Muretto (vicino a san Babila, ndr) dal ’93; perché è lì che succede un po’ tutto. Ci sono i breaker, i rapper, ci siamo noi. Di solito bombardiamo i tram perché vanno in giro e fanno comunicazione veloce. Per noi è fondamentale il rispetto. Verso di noi, come verso ogni altro tipo di cultura”. In tema di locali a Milano il Tunnel del mercoledì fa hip hop, da mezzanotte alle tre, con microfoni aperti, breakers e altre espressioni creativo estemporanee. Non è facile avere dei locali di riferimento per chi segue e ama l’hip hop in Italia anche se, sulla scia del successo di brani come Gangsta’s Paradise di Coolio, organizzatori e pierre sono diventati in generale più sensibili a questo tipo di musica e di serate. A Napoli il Velvet Zone propone ogni tanto hip hop il martedì sera, ma è a Bologna uno dei posti più aperti alla cultura hip hop, la Zona Dopa, dove tra l’altro anche il prezzo d’ingresso (spesso annullato) è in linea con te filosofie rap.
Secondo alcuni ragazzi intervistati alla Convention, uno non può essere veramente hip hop se non ha conosciuto la povertà, la miseria o altre difficoltà nella vita. “Mi sembra una vera stronzata”, replica tosto Chief, 24 anni, un album con il gruppo Chief e Soci e tante collaborazioni all’attivo, napoletano in trasferta a Milano da 15 anni: “Ciascuno nella vita fa le proprie esperienze e si avvicina alla sfera secondo una serie di opportunità. Il mercato musicale hip hop in Italia si è decisamente allargato negli ultimi tempi e ci sono maggiori possibilità per tutti; stando a Milano anch’io ho cominciato frequentando il Muretto, lì tutti facevano qualcosa e così ho cominciato anch’io a scrivere le mie rime. Sono stato in varie formazioni, ho lavorato assieme a gente come Space One. Adesso col mio gruppo racconto la nostra esperienza metropolitana, la rabbia, i sentimenti. Dobbiamo lottare conto una realtà cruda e difficile come quella milanese dove c’è poco spazio per la vita e per l’umanità”. Due singoli strapassati alla radio e Chief già firma i suoi autografi. Anche Key Bianco nella Sfera ha il suo seguito: presente alla convention con il suo produttore Roberto Ferrante per lanciare il singolo Sogno che ci sei featuring. La Famiglia, è convinta del fatto che al più presto anche il pubblico Italiano vorrà seguire con maggiore interesse le nuove produzioni di hip hop Italiano. Ormai in molti b-boys c’è la consapevolezza di poter fare un giorno dell’hip hop la propria fonte di sostentamento, il mercato non è ancora enorme, ma è sicuramente in via di sviluppo, soprattutto per quello che riguarda il settore della musica, dell’abbigliamento e della grafica. In molte metropoli quella dei pantaloni larghi larghi e oversize è una moda che attecchisce non solo su flies e b-boys, ma su chiunque ami vestire comodo e colorato. Il business comincia a entrare anche nel mondo hop hop, e in fondo anche questo è segno che i tempi sono maturi. Naturalmente è chiaro che l’hip hop è una cultura che può nascere e svilupparsi solo o soprattutto nelle realtà metropolitane e che la vera esperienza collettiva nasce proprio dall’essere tutti metropolitani, a Milano come a Roma, Parigi o Los Angeles. “E soprattutto come a Napoli e a NewYork”, rincalza Polo: le due città, neanche a dirlo, si trovano sul medesimo parallelo, il quarantunesimo, lo stesso che darà il titolo anche al primo album della Famiglia. Naturalmente.

MUOVERSI HIP HOP. Parlare hip hop e gesticolare alla maniera dei rappers che vediamo nei clip su MTV è praticamente tutt’uno anche per i b-boys italiani. Che però non sempre sono veri campioni in fatto di break dance o pattini in linea. Dopo l’uscita del film Beat Street e dopo il successo dei Break Machine e della loro Street Dance in Italia, come nel resto del mondo, scoppiò una vera mania per quel tipo di ballo, per la verità non proprio alla portata di tutti come la macarena. Così passata l’onda della moda, è rimasta intatta la passione in quei pochi che hanno avuto l’intelligenza di chiedersi cosa ci fosse dietro quella maniera così spettacolare di muoversi e di ballare. Ancora una volta la strada. Proprio la cultura della strada riconduce anche la break dance (oggi ribattezzata b-boying) ad una forma complementare di hip hop, assieme al basket, agli skate o ad altri tipi di sport non violenti vicini (come dimostra anche il recente successo cinematografico di Micheal Jordan con Bugs Bunny, Space Jam) alla sfera hip hop. Il Fun Cube di Agnano, meta predestinata della convention, è fatto apposta perché flies e b-boys possano scatenarsi in tutte le loro evoluzioni ed acrobazie (tricks, ancora nel gergo) slittare sullo spigolo, sulla rampa, sullo slide o nel fun box. Ma attenzione: non bisogna pensare ad una corrispondenza biunivoca tra pattini e hip hop. Non sempre uno che va sui pattini ama o pratica il rap, né è detto che un b-boy debba per forza saper andare sui pattini o giocare a basket. Il discorso funziona in corrispondenza amorosa solo per i breakers: “loro sono i muratori dell’hip hop - dice Polo - devono allenarsi tutti i giorni, ed è dura”.